“Nella Datapoiesi l’arte è una strategia”
(Salvatore Iaconesi)

Dato” – secondo la Treccani – è ciò che si dà immediatamente alla conoscenza, senza ulteriori elaborazioni. In quella che Massimo Mazzotti – direttore del Centre for Science, Technology, Medicine & Society – ha definito “era dell’algoritmo”, forse le cose non stanno proprio così. Viviamo in un mondo complesso e complicato, globalizzato ed interconnesso dove i dati sono i confini esistenziali. Le interazioni sui social network, un click su un sito web, i nostri smartphone, ma anche tutti gli oggetti connessi ad Internet (IoT), i segnali GPS, i sistemi di High Frequency Trading dei mercati finanziari: tutto produce un’enorme quantità di dati. Queste tecnologie sono capillarmente diffuse e sono ormai parte della nostra vita quotidiana, tanto che – il più delle volte – non ci facciamo nemmeno caso.

Vedere questo paesaggio algoritmico nella sua interezza non è possibile; bisogna ricostruirlo scoprendone uno per volta i tanti e piccoli tasselli. Per far ciò occorrono imponenti potenzialità di calcolo e possibilità di raccogliere i dati in enormi database. Per guardarlo e comprenderlo bisogna adattare lo sguardo alla sua struttura asimmetrica entrando in tutto ciò che sfugge all’occhio assuefatto. Decifrare un contesto così delineato nel suo insieme non è affare da poco e la portata dei fenomeni globali sfugge il più delle volte alla nostra percezione.

Vedere è sinonimo di conoscere; essere in grado di vedere, di osservare i dettagli e farli propri, equivale oggi a calcolare.  Tradurre l’esperienza empirica in “forma”, cioè far vedere ciò che si è calcolato, significa riuscire a comunicare “restando a contatto con il problema” (Donna Haraway – Chtulucene), rimanendo pienamente nel presente.

Le tecnologie non sono neutrali, così come non lo sono le persone che le concepiscono, né tantomeno coloro che le utilizzano: la tecnologia ci permette di esprimere noi stessi come mai nella storia dell’essere umano, ma può anche essere l’arma perfetta dei governi autoritari; può salvare vite, ma anche essere causa dei cambiamenti climatici. Queste dicotomie sono dappertutto.

Ad oggi, però, la tecnologia – proprio come la scienza – estrae: dall’ambiente, dai nostri comportamenti, dai nostri corpi, dalla nostra psicologia, dalle nostre relazioni. Estrae per sfruttare. Che sia tramite un pozzo di petrolio o tramite una piattaforma online, fa poca differenza (Salvatore Iaconesi).

Secondo Salvatore Iaconesi – hacker, artista e direttore scientifico di HER – questo modello è possibile perché scienza e tecnologia operano nella separazione: nel chiuso dell’industria, nell’ambiente asettico del laboratorio, nella segretezza del data center. Lontano dalla nostra sensibilità, tutto può essere estratto e trasformato in servizio o prodotto pronto per essere consumato, senza soffermarci più di tanto su ciò che stiamo utilizzando: cecità, assenza di conoscenza. Portare l’arte in questo ciclo può trasformare o quanto meno indirizzare questo modello; significa re-inserire la sensibilità, la percezione, i sensi, tutti.

L’arte diventa, allora, documentazione di un presente infinto che può solo coincidere con l’esperienza in atto. L’opera diventa un processo di mediazione e, tutt’altro che compiuta, si presenta al mondo come un “artefatto”; un oggetto che viene ogni volta ri-attivato. Persino l’artista diviene plurale: è una figura trasversale che si assume la “responso-abilità” di raccontare nuovi territori, assetti ed orizzonti della vita planetaria.

Ma non è tutto. Creare, fare arte nell’era della (post)riproducibilità tecnica, è sinonimo di agire ed è in questa possibilità di cambiare la percezione di molti che ritroviamo l’“aura” (Walter Benjamin – L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica).

Se di “dati” abbiamo detto, in maniera rapida poiché ci sarebbe ancora molto altro di cui discutere, prima di definire la Datapoiesi è utile soffermarsi brevemente anche sulla seconda delle parole che compongono questo neologismo; esso è frutto della sensibilità e della ricerca artistica (e non solo) di Oriana Persico e Salvatore Iaconesi, riconosciuti nel duo e progetto di ricerca Art is Open Source.

datapoiesi
Salvatore Iaconesi e Oriana Persico – Datapoiesi

La poiesi non è un concetto nuovo: deriva dal greco ποίησις che significa propriamente – secondo la definizione che ne dà Platone nel Simposio – il “fare dal nulla”. È un termine che è entrato a far parte della terminologia scientifica, per lo più quella moderna, in veste di suffisso col significato di “formazione” (emo-poiesi, leucocito-poiesi, mielo-poiesi). La poiesi si può dunque definire, in filosofia come nelle scienze naturali, “qualcosa che genera qualcos’altro che prima non c’era”.

Datapoiesi indica il processo attraverso il quale i dati (e la computazione necessaria ad elaborarli) portano all’esistenza – o forse sarebbe più corretto dire che portano alla sensibilità – qualcosa che prima non c’era; significa liberare i dati dal dominio esclusivo della tecnica per inserirli nel campo del significato, della relazione, della cultura.
Fare datapoiesi significa segnare il percorso tracciato dai dati, estratti costantemente dal nostro ambiente, raccolti ed utilizzati per prendere decisioni, allo scopo di renderlo visibile, manifesto. Questo processo consente di avere esperienza dei fenomeni complessi che avvengono nel mondo, passand/po attraverso la lente di enormi quantità di dati che prendono forma divenendo nell’oggetto artistico immediatamente intellegibili. Senza questi restiamo monchi, impossibilitati a conoscere, comprendere e relazionarci al nostro mondo.

Datapoiesi ha cominciato ad essere tradotto in una forma di design capace di far vivere i dati nel bel mezzo della società, trasformandoli in un’occasione per unire e generare nuovi rituali. Datapoietico diventa, allora, la capacità propria dei dati e dell’intelligenza artificiale di portare alla luce, con una sensibilità aumentata, i fenomeni del mondo globalizzato. Gli oggetti data-poietici sono cose, oggetti, la cui essenza e personalità dipende dai dati e dalla computazione. Non si tratta di meri artefatti tecnici: sono culturali ed esistenziali poiché, immergendosi nella cultura contemporanea, nella percezione umana e nella comprensione, creano nuove opportunità di immaginazione sociale rimodellando la realtà in cui viviamo.

L’arte è una strategia per aprire nuove opportunità per la sensibilità: ciò che era immateriale può prendere forma sensibile in un mondo – il nostro – in cui dati e computazione intervengono anche nelle dimensioni fisiche e nelle relazioni.

OBIETTIVO – 2019 è la prima opera d’arte datapoietica: è un sistema di illuminazione per spazi pubblici composto da diversi layers di plexiglass collegati ai dati prodotti dalle organizzazioni internazionali sul numero di persone che vivono in condizioni di estrema povertà (meno di 1,90$ al giorno, come stabilito dall’UNDP). Le fonti sono quelle del World Poverty Clock in cui sono raccolti i dati provenienti dalle nazioni unite e quelli sulla povertà, equità e disuguaglianza dalla banca mondiale e dall’OCSE. Gli aggiornamenti in tempo reale sono utilizzati in una Rete Neurale che è stata addestrata con le serie storiche di questi dati; lo scopo è stimare meglio il valore effettivo delle persone che stanno effettivamente entrando o uscendo dalla condizione di estrema povertà. Nell’intensità della luce rossa, obiettivo rende percepibile il grado di povertà, aumentando di intensità ogni volta che una persona supera la soglia della povertà più assoluta. La luce può spegnersi solo se nel mondo il livello di povertà scende sotto le 500.000 persone.

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OBIETTIVO (2019) – prima opera d’arte datapoietica

OBIETTIVO ha il compito di tenerci svegli davanti al problema. Come ogni prodotto datapoietico, è un oggetto totemico attorno a cui creare neo-rituali; è un’opera d’arte, ma è anche un contributo reale per progettualità futuribili e perché i dati entrino nelle case, negli uffici, negli spazi pubblici.

L’arte può e deve essere la spinta per creare senso attorno ai dati al fine di costruire processi di innovazione (tecnologica e sociale) e ispirare nuovi modelli di business.

Fonti e approfondimenti: antinomie.it, datapoiesi.com

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