societing lab

Exit o NoExit? La condizione post pandemica di Adam Arvidsson

#NoExit? Com’è possibile uscire da una situazione che pare si stia facendo sempre più cupa, sempre più ripiegata su un eterno presente, senza futuro? Un ‘realismo capitalista’ dove l’unica cosa che possiamo ragionevolmente fare è continuare a consumare mentre il mondo finisce, come nel (pen)-ultima scena del recente film, Don’t Look Up?

Da nessuna parte si vede l’uscita. Almeno così ha concluso la serie di incontri Franco Berardi Bifo, il last man standing della gloriosa tradizione dell’operaismo italiano: una scuola una volta così ricca di idee e così feconda nella sua capacità di cogliere il futuro inerente nel presente. Non abbiamo altra scelta che rassegnarci, abbandonare le nostre speranze politiche, sociali, erotiche a un onnipotente ordine neoliberale, un nuovo capitalismo della sorveglianza che sta per trasformarsi, almeno così pareva al Filosofo, in una dittatura sanitaria dove la socialità faccia a faccia, ‘conviviale’ per usare l’espressione di Illich, viene sacrificata in nome di un astratto ideale della sicurezza, incarnata nell’eterno panico mediatico e nelle curve del contagio.

Sicuramente molte cose ci suggeriscono che stiamo andando in quella direzione. Nel distanziamento sociale, nella Shut in society, il capitalismo digitale pare aver finalmente trovato il suo regime di riproduzione sociale, per usare il termine di Nancy Fraser, un modello di vita con tutte le sue innovazioni: dal controllo basato su dati e algoritmi che garantisce la sicurezza e predice i desideri e i bisogni, alle relazioni mediate da piattaforme digitali e, forse fra poco, la nuova realtà del Metaverso, al monopolio delle piattaforme sulla produzione e sul consumo. Sarà il modo in cui i ceti medi si isolano nelle Smart City, difendendosi, anche militarmente, da un pianeta di baraccopoli, piena di virus, migranti e altri pericoli, per poi proseguire nelle colonne spaziali gestite da corporation come Google o Tesla?

Oppure dobbiamo negare tutto e fare finta di niente? Andare avanti in un’esistenza quotidiana marcata dalla perplessità, immune alla ragione e influenzata dalle teorie più bizzarre che ripresentano antiche fantasie magiche accelerate da internet, tentazioni disperate di trovare una direzione in quell’apocalisse culturale che già De Martino descrisse come segnata di un sovraccarico di significati; dove non ci sono più verità e dove, come ha suggerito addirittura una mente sublime come Giorgio Agamben, la pandemia non esiste.

Allo stesso tempo la nostra capacità di articolare nuove idee e soluzioni non è, probabilmente, mai stata così alta. Viviamo in un’epoca di intellettualità di massa, per usare il concetto di Paolo Virno, dove le informazioni a disposizione di tutti, i digital commons (cioè le nuove tecnologie che facilitano la collaborazione) e una nuova mentalità aperta alla pragmatica ricerca di soluzioni, fanno si che trovare idee, anche brillanti, non sia mai stato così facile. Com’è stato evidente negli hackaton e nei workshop che abbiamo progettato in parallelo alla serie di seminari, basta riunirsi intorno a un tavolo con dei post-it per trovare nuove soluzioni a problemi seri come la mancata inclusione sociale, la promozione di un economia alimentare sostenibile (o addirittura resiliente) e le varie forme di degrado che caratterizzano la nostra città, mettendo insieme nuove tecnologie con nuove visioni. Il problema è che finché queste idee non trovano appoggio in un sentimento collettivo, o almeno un sostegno istituzionale, rimangono cose di poco valore: ideas are cheap, come si è detto per molto tempo nel mondo degli start-up. In assenza di un reale senso di apertura e possibilità, l’intellettualità di massa si trasforma in cinismo e rassegnazione, sentimenti che paiono ormai caratterizzare i nostri tempi.

Fa sperare che la serie di incontri sia stata iniziata e promossa dagli studenti, mossi e animati dalla loro voglia di ragionare e confrontarsi, un desiderio rafforzato da quasi un anno in lock-down e DAD. Il loro rifiuto di accettare le verità tramandate, ufficiali o non ufficiali che siano, insieme al loro desiderio di ripartire e ricostituire quello che, oltre le morti tragiche e i dolori dei malati, è stata la vittima della pandemia forse più importante dal punto di vista sociologico cioè la sfera pubblica. Noi nati nel Novecento siamo ormai troppo vecchi, troppo attaccati a modelli ormai passati per vedere oltre il presente; saranno loro, i millennial, con le loro lotte, ad articolare i nuovi orizzonti e visioni. Forse questi incontri hanno costituito un primo, piccolissimo passo.

I concetti e gli autori menzionati in questo testi sono tutti stati discussi nei seminari #NoExit. Speriamo di rifare l’esperienza l’autunno prossimo.

GUARDA I VIDEO DEGLI INCONTRI #NoExit

Scarica QUI la strenna di transizione 2021 – 2022 del progetto PIDMed con la raccolta di tutti i video di NoExit