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Rassegna Stampa 25 Novembre 2019

Il pericolo per l’uomo non sono le tecnologie ma è l’uomo stesso. Tautologico eppure …

Eppure ci dobbiamo proteggere dalla nostra stessa attitudine “tafazzista” e per questo in molti ci si aspetta che l’Europa possa assumere il ruolo di definire l’etica con cui la tecnologia può essere utilizzata. Federico Faggin, il padre del microprocessore, dice che serve un governo alla corsa all’uso indiscriminato dell’intelligenza artificiale per far soldi o controllare le persone, un pericolo vero che – appunto – non deriva dalla tecnologia, ma dall’uomo. Dice Faggin: «Serve uno statuto etico anche se non dobbiamo dimenticare che la domanda è forse più pressante ancora per le biotecnologie che per i robot. Perché la vita è autonoma per definizione e dunque, se scappa di mano, è difficile fermarne l’impatto. Per un robot basta staccare la spina…».

Al tema dell’etica si aggiunge quello dell’educazione dato che, come ci fa notare Daniela Lucangeli, docente di psicologia dello sviluppo all’Università di Padova, è evidente come la realtà virtuale sia assorbente per i nativi digitali, ormai assuefatti a muoversi nel mondo contenuto nel loro smartphone, all’interno del quale vivono la loro vita, le relazioni e le esperienze. Il problema è che sono sempre più spesso incapaci di riconoscere il confine tra reale e virtuale. La realtà virtuale, che ha enormi potenzialità come strumento di supporto di questo processo, finisce per avere un ruolo sostitutivo della realtà vera. «Questa sostituzione dell’umano porta i nativi digitali a essere “assopiti” nella tecnologia, una sorta di apatia dopaminergica che sfocia nei ragazzi in una incapacità di discernimento tra i diversi stati della mente. Il nodo è la scelta di una strategia educativa che ha portato a perdere di vista il significato: un rapporto che nasce dalla relazione io-io, self-to-self, tra due persone che si guardano e si rispettano richiede fatica da costruire. Invece oggi abbiamo perso il senso del significato e della fatica». Daniela Lucangeli, che ha curato la ricerca “Digitale sì, digitale no”, sottolinea come la tecnologia può essere un alleato nei processi educativi ma come strumento, non come medium che si sostituisce alla relazione. La tecnologia deve essere ricondotta al suo ruolo di abilitatrice di conoscenza e dobbiamo recuperare l’umano, dice Lucangeli.

Ma non è che la nostra umanità la possiamo recuperare staccando ogni tanto gli occhi dai nostri schermi portatili?

Di seguito gli articoli scaricabili:

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